LA NATURA IN NOI

Un ambientalista che ha inteso l’arte come strumento per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla distruzione della Foresta Atlantica, creando su tecnica mista, come immagine reale di un ambiente devastato e inquinato, utilizzando scarti industriali, come teloni impermeabili per camion, di cui fa uso come supporto, pezzi di vetro, canutiglie e perline, memoria iconica dello scambio fra gli indios e i civilizzati ai primordi della colonizzazione. La sua missione: parlare della natura e di noi stessi.Questo è Paulo Tajes Lindner, con i suoi Cacos da Mata (Frammenti della Foresta), progetto artistico e di educazione ambientale svolto, nella sua prima fase, con la moglie, Ana Beatrís Raposo. A questo recente periodo risale la tela “Grande Spirito”, in forma di mandala (disegno circolare rituale che rappresenta un tuffo dentro noi stessi, secondo Jung), elaborata con pezzi di vetro, vetro tritato, canutiglie e perline. Nell’attuale fase, Paulo testimonia invece una realtà estranea pure ai brasiliani, e, a maggior ragione, alla comunità internazionale: uccelli abbondanti in un ambiente urbano, come Joinville, la sua città di nascita, situata fra la Baia da Babitonga, che dovrebbe essere un santuario ecologico, e la spina dorsale della Serra Dona Francisca, come sentinella della Serra do Mar. Umilmente chiamata bosco, essa è, infatti, la Foresta Atlantica, la seconda più grande del pianeta e tuttora responsabile per il rifornimento del 70% dell’acqua potabile consumata da 120 milioni di brasiliani. Alla scoperta del Brasile, copriva il 15% del territorio nazionale, oggi è ridotta a meno del 7% della sua estensione originale. Nonostante questo, essa accoglie un bioma unico e di maggior diversità sulla Terra: 1.600.000 specie, tra cui 20.000 vegetali e 120 uccelli specifici della Foresta Atlantica, i suoi veri porta-voce. Si capisce quindi che la libertà creativa dell’artista non fa leva sull’estasi del realismo fantastico o arcimboldiano per la pratica della fantasia, ma si basa sul vissuto giornalmente nei voli solitari dei tucani o delle poiane beccogrosso, negli stormi degli aironi ritornati dalle risaie avvelenate e nel grido stridente delle coppie di pavoncelle del Cile. Volando tra le scarse isole di vegetazione sopravvissute alla speculazione immobiliare, questi uccelli cercano impossibile dimora tra i palazzi che si moltiplicano alla rinfusa e tra le coloratissime lanterne volanti che segnano non un appello decorativo, ma la bellezza mortifera occulta nel debbio. Si giustificano così i falsi serpenti coralli e le temute bothrops come serpenti cosmici avvolti intorno al mondo, i pesci palla gonfi di stupore, gli animali selvatici che ormai non spaventano più, gli incauti opossum che attraversano le vie alla sera, il rauco abbaiare del tayra e la presenza furtiva delle iguane: è la fauna che chiede aiuto. Ma l’artista, come poeta, sogna la libertà delle verdi foreste e delle metafore come intuizioni rivelatrici. Sogna la libertà degli uccelli immaginari, il cui volo della creazione crea il proprio colore. Sogna il palazzo-uovo che si apre rivelando infinite possibilità. Sogna gli aquiloni in volo sui palazzi come povere libertà degli umani rinchiusi e sogna, infine, le notti puntellate di stelle che ci danno ancora la nostra vera e minuscola misura umana.E chi è lui? Credo sia l’artista-poeta illustrato da René Menard nel suo Livre des arbres: “Nella foresta, sono io integralmente.”  

Walter de Queiroz Guerreiro

Prof.M.A. 

Critico d’Arte (ABCA/AICA